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CAMBOGIA – Pioggia a catinelle e ospedali a 5 stelle

È mezzanotte, tra quattro ore dobbiamo alzarci per prendere l’autobus che ci porterà fuori dal Vietnam e finalmente entreremo in Cambogia. Federica non riesce a camminare, un’ora fa ha preso una storta e ora è distesa a letto con un enorme sacco di ghiaccio sulla caviglia, non possiamo nemmeno rimandare la partenza perché abbiamo completamente esaurito il visto. Ovviamente non mi interessa, insisto per fermarci comunque e al visto penseremo poi, ma lei non vuole cedere, abbiamo già prenotato tutto e preferisce tenere duro, arrivati a destinazione cercheremo un ospedale. Ormai è una viaggiatrice guerriera.
Suona la sveglia, è il momento della verità, ma sappiamo già che in così poco tempo nulla può essere cambiato, anzi forse la situazione è anche peggiorata, al minimo contatto Fede urla dal dolore. La supplico ancora una volta di non partire ma niente da fare, si va. Farò tutto io, non riesco nemmeno ad immaginare cosa sta provando e farò il possibile per aiutarla. 
Porto in strada i nostri quattro zaini, saliamo sul taxi che abbiamo fatto chiamare dall’ostello e ci facciamo portare alla stazione. Carico tutto sull’autobus e troviamo due posti liberi per Federica che sistema la gamba in modo da non sentire dolore, a patto di restare immobile fino al confine. E’ dura vedere la tua compagna di vita e di viaggio sofferente e non poter fare niente, sussulto ad ogni buca che potrebbe farle muovere la gamba. Abbiamo superato tutto insieme, siamo arrivati fin qui e supereremo anche questa. La buona notizia è che il viaggio dura solo qualche ora e l’ingresso in Cambogia è uno dei più veloci di sempre, basta pagare 30 dollari per il visto più 5 di “mancia” all’ufficiale di turno.
Arrivati miracolosamente al nostro albergo di Phnom Penh (ancora oggi mi chiedo come abbia fatto Federica a resistere per 36 ore) possiamo finalmente andare in ospedale! La nostra assicurazione ci trova la migliore clinica più vicina e in meno di venti minuti stiamo già parlando con i medici del pronto soccorso che fasciano la caviglia di Federica, rassicurandoci sul fatto che nessun osso sia rotto, e procedono con gli esami del sangue dopo aver riscontrato una febbre a 39 (che noi ignoravamo del tutto). Proprio quando stiamo per tirare un sospiro di sollievo arriva un’altra doccia fredda, Fede è vittima di un’intossicazione alimentare e devono ricoverarla per un paio di giorni per sicurezza. Siamo un po’ spaventati, speriamo che non sia niente di grave ma in questo viaggio abbiamo imparato a non preoccuparci prima del dovuto, saliamo in camera e troviamo già un lato positivo: è una stanza privata quattro volte più grande di quelle a cui siamo abituati, con divano, cucina e bagno, in pratica a noi sembra un hotel a 5 stelle, forse se la passerà meglio Federica qui che io in ostello!
I due giorni volano, faccio avanti e indietro dall’ospedale per andare a trovare la mia dolce metà che fortunatamente è nelle migliori mani in cui potessi sperare, addirittura le servono una carbonara per pranzo! Per stare a riposo le hanno dato temporaneamente due stampelle che vorrei comprare ma anche questa volta lei me lo impedisce, non vuole gravare sul nostro budget. Chi vede il nostro viaggio dall’esterno non si rende conto di cosa significhi, alcune persone credono che sia una lunga vacanza perché viviamo tanti momenti meravigliosi ma non pensano minimamente a quanto possa essere faticoso, devi davvero volerlo con tutte le tue forze, questo è solo uno dei tanti sacrifici che facciamo ogni giorno. Per noi non è un problema perchè amiamo viaggiare, ma sicuramente non è qualcosa che tutti sarebbero disposti a fare, ci vuole tanto spirito d’adattamento che, mese dopo mese, continua a crescere se vissuto con lo spirito giusto.
Fede viene dimessa, nessun pericolo, ma ogni volta che appoggia il piede mi manca il respiro, può dirmi quello che vuole ma un altro giorno a letto non glielo toglie nessuno!
Il mattino seguente usciamo per la prima volta per esplorare la città che in qualche modo ci stupisce, non è di certo indimenticabile ma il lungofiume è piacevole e il palazzo reale merita sicuramente una visita, anche se dopo mesi di templi non è niente di nuovo e dopo esserci informati per bene con altri viaggiatori, decidiamo di non entrare e risparmiare il prezzo del biglietto un po’ troppo caro. Il secondo giorno, il più importante, lo dedichiamo a un periodo storico di questo Paese che non può essere ignorato, ovvero quando i Khmer Rossi di Pol Pot uccisero più di un milione di cambogiani dal 1975 al 1979, circa il 20% della popolazione. L’obiettivo era quello di trasformare la Cambogia in una cooperativa agraria di stampo maoista dominata dalla classe agricola. I cambogiani furono deportati nelle campagne e costretti a lavorare, pena la morte. Venivano uccisi i più istruiti, anche portare gli occhiali era sufficiente per essere giustiziati, ma i soldati ammazzavano per qualunque motivo, lo inventavano molto spesso.
Visitiamo la S-21, una scuola convertita in prigione dalle condizioni disumane in cui si praticavano le torture più atroci, e i “killing fields”, i campi di sterminio in cui i civili venivano brutalmente assassinati per essere  seppelliti in fosse comuni, per “fare spazio” nelle carceri in attesa di nuovi prigionieri. Entrambe le visite sono bestiali, non abbiamo aperto bocca per tutto il giorno, le audio guide in italiano sono fondamentali per la piena comprensione di ciò che è accaduto e ne consiglio caldamente l’acquisto. Ci sono molti turisti ma tutti in religioso silenzio, il rispetto è d’obbligo in luoghi come questo, ognuno è alle prese con la propria disperazione interiore. Ero già stato in Cambogia ma solo per un paio di giorni e per mancanza di tempo avevo saltato tutto questo, oggi credo che dovrebbe essere invece la prima tappa di chiunque decida di visitare questo Paese, non guarderete più i cambogiani con gli stessi occhi sapendo quello che hanno passato.
Ormai è trascorsa una settimana da quando siamo arrivati e avendone a disposizione solo altre tre dobbiamo muoverci. Purtroppo la pioggia non ci abbandona quasi mai, le previsioni dicono che per questo mese di agosto sarà sempre così purtroppo, ma noi non ci arrendiamo, vogliamo fermarci un po’ al mare a Koh Rong Sanloem, un’isola di cui ci hanno parlato molto bene e decidiamo di avvicinarci alla città più vicina sulla terraferma, Kampot. La caviglia di Federica sembra tornata quasi al 100%, è un miracolo, questa ragazza ormai è un carro armato, sta così bene che ha persino la forza di rimproverarmi, almeno sono certo che è guarita. Il viaggio è abbastanza breve, o almeno lo sarebbe se l’autista non decidesse di fermarsi ogni mezz’ora senza un apparente motivo, ma questa è l’Asia e noi abbiamo smesso di farci domande parecchi mesi fa.
Kampot è molto famosa tra i backpackers che vengono qui per rilassarsi, lo si nota dai moltissimi ristoranti con cibo occidentale e i prezzi sopra la media per i turisti, a noi non ha entusiasmato più di tanto ma la pioggia perenne ha influito molto sulla nostra esperienza,. Per entrare e uscire dalla nostra guesthouse, rigorosamente fuori dal centro per risparmiare e nell’unica strada non asfaltata, dobbiamo attraversare scalzi un lago di fango creato dai tremendi acquazzoni.
Noleggiamo un motorino per due giorni. Il primo lo dedichiamo ad una visita molto interessante di una piantagione di pepe (la città è famosissima proprio per questo) dove ci spiegano come viene prodotto e ci fanno assaggiare diverse varietà; il secondo per un’uscita fuori porta per raggiungere la cima di una collina su cui sorge un villaggio fantasma da cui si dovrebbe godere di un meraviglioso panorama su tutta la zona. Peccato che la furia della natura abbia deciso di abbattersi su di noi, non abbiamo mai preso così tanta acqua da quando abbiamo lasciato Milano, senza contare le strade di fango tra le risaie con le ruote dello scooter che girano a vuoto e, ciliegina sulla torta, una volta arrivati in cima c’è più nebbia della Pianura Padana. Non abbiamo visto niente di quello che avevamo programmato ma è stata un’altra avventura da ricordare, l’ennesima, e alla fin dei conti ci siamo divertiti… zuppi ma felici!
A malincuore siamo costretti ad annullare la tappa al mare, il maltempo perenne non ci concede altra scelta, i costi per raggiungere e soggiornare sull’isola sono piuttosto alti e non possiamo rischiare di spendere soldi senza nemmeno potercela godere. Avendo quindi guadagnato un po’ di tempo decidiamo che è il momento di regalarlo nuovamente a qualcuno che ne ha bisogno, memori della nostra magnifica esperienza nell’orfanotrofio in Nepal non vediamo l’ora di dare una mano. Cercando su internet troviamo l’annuncio di due ragazzi inglesi che hanno aperto una casa rifugio per animali randagi a Siem Reap che sarà proprio la nostra ultima tappa, non potevamo chiedere di meglio, uno scambio di mail e il posto è nostro.
Scegliamo la nostra penultima tappa, Battambang. È una cittadina tranquilla tagliata a metà da un fiume che non brilla certo per la sua bellezza, ma è molto economica e perfetta per fermarsi qualche giorno. Troviamo una guesthouse con aria condizionata e super colazione all’americana per soli 8 euro a notte, ci fanno persino usare la piscina dell’hotel accanto assolutamente fuori budget per noi.
In città visitiamo la galleria di un fotografo spagnolo, Joseba, che ha viaggiato per il mondo in bicicletta e ci racconta le storia delle persone che ha conosciuto. Compriamo una delle sue bellissime foto sapendo che donerà una parte del ricavato ai bambini di Battambang.
Noleggiamo come sempre un motorino per due spiccioli per esplorare i dintorni. Visitiamo il Wat Banan, ovvero dei resti di un tempio in cima a una scalinata ripidissima e la famosa Bat Cave, che non è la caverna segreta di Batman ma una grotta dove ogni sera al tramonto prende vita uno spettacolo della natura. Milioni di pipistrelli escono in volo in cerca di cibo e la scia nera che si forma nel cielo è impressionante, si muove all’unisono come fosse un grande serpente e non si interrompe mai per almeno 40 minuti, di certo non è qualcosa che capita di vedere tutti i giorni!
Persi in questa meraviglia non ci rendiamo conto del tempo che passa, è quasi buio e raggiungiamo le Killing Caves, un altro luogo tristemente famoso per la trucidazione di poveri innocenti. È troppo tardi e non abbiamo una torcia per spingerci più all’interno, è troppo rischioso con l’oscurità e decidiamo di tornare alla base.
Siamo indecisi su come raggiungere Siem Reap, con il solito minivan sgangherato o in barca per un viaggio più panoramico. Purtroppo la seconda opzione è molto più costosa e ancora soddisfatti della nostra esperienza sulle acque del Mekong tra Thailandia e Laos, scegliamo le quattro ruote senza troppi rimpianti.
Abbiamo appuntamento con Billy e Georgia, la coppia inglese che gestisce il rifugio dove faremo volontariato. Non hanno risposto ai nostri ultimi messaggi e non siamo più sicuri che la cosa vada in porto, lo scopriremo una volta arrivati. Scendiamo dal minivan e naturalmente non c’è nessuno ad attenderci. Non ci disperiamo, abbiamo imparato a stare calmi e affrontare ogni situazione, le cose andranno come devono andare e noi ci adatteremo.
Telefoniamo a Billy che ci risponde al primo tentativo (ecco perché non conviene mai agitarsi prima del dovuto), dopo 10 minuti lo vediamo arrivare in moto e scorta il nostro tuc tuc sotto la pioggia sino alla loro casa/rifugio.
Il primo impatto non è dei migliori, si tratta di una villetta su due piani in semi stato di abbandono e facciamo fatica a credere che sia in grado di ospitare animali feriti. Il cortile è un vero disastro, sembra una discarica e ci sono escrementi ovunque. I ragazzi stanno al piano di sopra e noi al piano terra, quando ci aprono la porta sembra che non sia entrata anima viva da parecchio tempo. Nella nostra stanza c’è un materasso appoggiato al muro, quando lo tiriamo giù un ragno tropicale enorme ci fa presente che è la sua casa ma fortunatamente le urla di Federica sono abbastanza forti da farlo fuggire. Niente lenzuola (e forse è un bene) ma abbiamo i nostri sacchi a pelo, il bagno è un’altra tragedia, è già un miracolo che esca a malapena un filo d’acqua dai rubinetti. La voglia di scappare è altissima ma non vogliamo farlo, vogliamo superare anche questo, terremo duro solo per gli animali che sono una quindicina tra cani e gatti. Passiamo la settimana a pulire il giardino da cima a fondo e iniziamo gli scavi per la costruzione di una recinzione interna, avremmo anche voluto fare di più ma Billy e Georgia sembrano non avere urgenza e non ci danno lavori da fare, sprecando purtroppo l’aiuto di cui avrebbero tanto bisogno. Ci troviamo in un villaggio fuori città, c’è una sola baracca per mangiare e le condizioni sono pessime, ma ancora una volta siamo fieri di noi per non aver mollato, ce l’abbiamo messa tutta e i nostri amici a quattro zampe sono dolcissimi.
La settimana passa in fretta e ci spostiamo in città, il nostro ostello ora ci sembra una reggia e apprezziamo ancora di più le poche cose che abbiamo. È questa la magia del viaggio.
Riceviamo un bellissimo messaggio di Monica e Gianluca, due ragazzi meravigliosi che seguono il nostro viaggio e vogliono invitarci a cena. Siamo più che felici di accettare, è un onore per noi passare una parte del nostro tempo con chi ci dona il proprio e soprattutto è un piacere sentirsi in famiglia per qualche ora. È stato come tornare a casa per una sera e sentire quel calore che ci manca da quando siamo partiti, grazie davvero ragazzi!
Il nostro tempo in Cambogia sta per scadere, a breve dovremo ripartire per Bangkok dove abbiamo appuntamento con due carissimi amici che verrano a trovarci dall’Italia. Abbiamo lasciato il meglio per ultimo, la visita al complesso di Angkor Wat che da sola vale il viaggio. Con i loro stupendi intarsi e bassorilievi, questi templi Khmer immersi nella giungla rappresentano lo splendore di un’antica civiltà. Il prezzo del biglietto è molto alto ma ne vale la pena, per risparmiare decidiamo di noleggiare una bicicletta e partire alle 3.30 del mattino, pedalare in una Siem Reap deserta in piena notte è incredibile eppure lo stiamo facendo per davvero. Arriviamo in tempo per l’alba, l’atmosfera è magica ma dura poco, ci sono davvero troppi turisti. Ne approfittiamo per iniziare prima il nostro giro ed evitare la massa, l’area è enorme e i templi sono sparsi ovunque, la bici è l’ideale per muoversi lentamente e apprezzare ogni piccolo dettaglio. A fine giornata abbiamo percorso circa 50 km, siamo distrutti ma felici (l’espressione che rappresenta al meglio questo giro del mondo). È stata un’altra magnifica esperienza che nessuno potrà mai e poi mai toglierci, a ripensarci oggi mi sembra incredibile, che avventura ragazzi!

 

IT’S NEVER TOO LATE

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